Molte aziende utilizzano spesso le immagini di notissime opere d’arte del passato per commercializzare e reclamizzare i propri prodotti, in base alla convinzione che, una volta definitivamente decorso il massimo termine di tutela del copyright previsto dalla L. 633/ 1941 sul Diritto d’Autore (70 anni dalla morte dell’autore), ogni opera cada in pubblico dominio e sia quindi liberamente utilizzabile, con la sola eccezione degli usi suscettibili di ledere l’onore ed il decoro dell’autore (sempre perseguibili anche su iniziativa dei discendenti o del competente. Ministero).
In realtà, invece, il Codice dei Beni Culturali (D.lgs. 42/2004) – secondo cui “Sono beni culturali le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro che presentano un interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico,” (art. 10) – riserva all’autorità che ha in consegna il bene culturale (per esempio, il museo, la pinacoteca, ecc.), il potere di autorizzare la riproduzione dell’immagine dell’opera, previo pagamento del canone fissato dall’autorità medesima, mentre è libera la riproduzione delle opere protette solo se effettuata senza scopo di lucro (art. 108 del Codice).
D’altra parte, la stessa Legge sul Diritto d’Autore (633/1941), nel recepire la direttiva comunitaria 2019/790 (c.d. Direttiva Copyright), ha espressamente stabilito – introducendo l’art. 32-quater – che, anche quando scaduto il termine del diritto di utilizzazione esclusiva previsto dalla stessa legge a favore dell’autore e dei suoi aventi causa, “Restano ferme le disposizioni in materia di riproduzione dei beni culturali di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42”.
Quindi, chi volesse utilizzare l’immagine o la riproduzione di un’opera d’arte del passato per promuovere i propri prodotti o all’interno di essi, deve ottenere il consenso dell’ente che li ha in custodia, versando il contributo da questi previsto.
La norma ha ricevuto significative conferme giurisprudenziali. Ad esempio, la famosa società di produzione di giochi da tavolo Ravensburger aveva utilizzato l’immagine dell’”Uomo Vitruviano” di Leonardo da Vinci, custodito nelle Gallerie dell’Accademia di Venezia, per la realizzazione e commercializzazione di un gioco (puzzle) recante l’immagine di tale opera, senza, tuttavia, chiedere alcuna concessione preventiva al museo veneziano.
A fronte di ciò, il Tribunale di Venezia, con ordinanza del 24 ottobre 2022, ha inibito a Ravensburger l’uso dell’immagine dell’opera in questione senza la prescritta autorizzazione da parte del museo delle Gallerie dell’Accademia di Venezia.
Analogamente, lo scorso autunno la Galleria degli Uffizi di Firenze ha agito in giudizio nei confronti della nota maison Jean-Paul Gaultier per la riproduzione, senza autorizzazione, dell’immagine della “Venere” di Botticelli sui propri capi di abbigliamento della capsule collection “Le Musée”.
Un po’ più datata – ma sempre nel medesimo senso – è un’ordinanza resa nel 2017 dal Tribunale di Firenze che ha riconosciuto l’illecito dell’organizzazione Visit Today, che aveva riprodotto sui propri depliants e sito internet l’immagine del “David” di Michelangelo senza aver chiesto il consenso al Ministero dei Beni Culturali, che ha in consegna l’opera.