La controversia, che vede come protagoniste due grandi catene di supermercati, la tedesca Lidl e l’inglese Tesco, nasce dal fatto che quest’ultima ha iniziato a reclamizzare dal 2020 un programma di sconti fedeltà (“Clubcard Prices”) tramite un logo costituito da un cerchio giallo su sfondo blu.
A fronte di ciò, Lidl ha citato Tesco avanti un tribunale del Regno Unito, contestando l’uso di un logo sostanzialmente identico al proprio. Lidl, infatti, oltre al noto marchio figurativo costituito dal bollo giallo su sfondo blu con iscritto il nome “Lidl”, è titolare anche di un marchio costituito sempre da un bollo giallo su sfondo quadrato blu ma senza alcuna parola all’interno.
Tesco, dal canto suo, si è difesa in giudizio sostenendo che Lidl ha registrato il marchio “muto” (senza parole all’interno), in malafede, come solo marchio difensivo, mai di fatto usato.
Tesco ha affermato, in particolare, che la malafede di Lidl può essere desunta, tra l’altro, dalla pratica di ridepositare periodicamente il marchio, senza parole all’interno, in modo da eludere l’obbligo di dimostrare l’uso del segno dopo cinque anni dalla registrazione (regola questa vigente praticamente ovunque, ed anche a livello europeo, oltre che in Italia).
Dopo una schermaglia processuale circa la prova della malafede di Lidl – ancora non completamente risolta – la causa ha ripreso il suo corso ed è tutt’ora pendente e si presume che si concluderà verosimilmente quest’anno.
La questione presenta peraltro fin d’ora un notevole interesse per gli operatori Italiani, perché costituisce una ulteriore dimostrazione pratica del fatto che la norma italiana (art. 24.4 c.p.i.), che consente la registrazione di marchi c.d. “difensivi” (vale a dire di marchi non concretamente utilizzati ma simili a quello effettivamente usato e che sono quindi “tenuti in vita” da quest’ultimo, nonostante la regola che impone di usare il marchio entro cinque anni dalla registrazione), è una sorta di “unicum” vigente solo in Italia, ma non a livello europeo (e, nella fattispecie, neppure nel Regno Unito).
È quindi assolutamente indispensabile che gli operatori italiani ricordino che, volendo agire in giudizio all’estero sulla base di un marchio registrato da oltre cinque anni, occorre essere pronti ad esibire le prove del suo uso effettivo.